Fino al 13 giugno le Scuderie del Quirinale celebrano i 400 anni dalla morte di Michelangelo Merisi ospitando la mostra “Caravaggio” che raccoglie circa una trentina di tele di produzione certa e autografa.
Durante la mia visita le sale hanno accolto troppi visitatori. Sicuramente prevedibile e comprensibile di domenica, ma sarebbe stato opportuno, a mio avviso, contenere l’afflusso veicolandolo secondo modalità e tempi adeguati.
Inoltre la sala buia (scelta finalizzata all’esaltazione dei contrasti cromatici) è stata illuminata da faretti spesso mal posizionati che obbligano lo spettatore a collocarsi in un solo specifico punto per poter godere appieno della bellezza del quadro nel suo gioco di ombre e luci.
L’esposizione, modellata su due piani, segue un percorso non cronologico ma di confronto tematico. Troviamo infatti il “Ragazzo con il canestro di frutta”, del periodo giovanile, associato al “Bacco degli Uffizi”, “Il suonatore di liuto” insieme ai “I musici” che regalano l’idea di amore come armonia, le due versioni de “La cena in Emmaus”, le tre tele del “San Giovanni Battista“.
Nell’osservazione del vero, alla ricerca del naturalismo, Caravaggio riesce a restituire immagini che si elevano oltre la mediocrità della realtà, regalando un’estetica della luce innovativa e complessa.
E così nel dipinto “Amor vincit omnia” l’Amore trionfa sulle arti e seduce attraverso la complicità di un sorriso provocante.
Ma Caravaggio dipinge anche i grandi temi biblici come “Giuditta e Oloferne” rappresentata con crudezza di particolari, la “Cattura di Cristo nell’orto” in cui l’artista dipinge se stesso nell’atto di portare la luce che illumina la fede e la redenzione.
E poi i temi del sommo e della morte con “Amore dormiente” che non trionfa più, ma esanime, avvolto nel buio, sembra privo di vita e simboleggia il periodo buio in cui l’angoscia per la sentenza di condanna a morte porta Caravaggio a fuggire e a cercare riparo tra i Cavalieri di Malta. Tale ossessione la si ritrova in “Davide con la testa di Golia” , dove la testa del gigante ricorda le fattezze dell’artista, ma anche nello sguardo addolorato e malinconico del vincitore.
Nonostante la folla, la scarsa illuminazione e le audioguide prolisse e noiose, la mostra è un’esperienza dei sensi da non perdere, fino alla fine.
Abbandonando il buio della sala, infatti, ci si ritrova avvolti in un gioco di luci tutto naturale che filtra attraverso l’ampia vetrata delle Scuderie del Quirinale e ci regala una vista di Roma che abbraccia, con un unico sguardo, un panorama incantevole dal Vittoriano al Quirinale passando per S. Pietro.
E’ opportuno visitare la mostra al più presto perchè alcune opere sono in esposizione temporanea e verranno trasferite prima della fine dell’evento.
Caravaggio lo si può trovare anche fuori dalla mostra, visitando per esempio la Chiesa di San Luigi dei Francesi che contiene “la Vocazione di San Matteo” e “Il Martirio di San Matteo” e “San Matteo e l’Angelo“.
Nella Chiesa di Sant’Agostino, troviamo la “Madonna dei Pellegrini“, Santa Maria del Popolo, invece offre “La Conversione di San Paolo” e la “Crocifissione di San Pietro“.



Oggi ho profondamente amato Roma, di quell’amore fatto di speranza e di compassione. La speranza che il mio voto alle Regionali cada su un soffice e grosso cumulo di schede elettorali amiche, e la compassione verso una città fascinosa, suggestiva, poetica, ma ammantata da un velo di decadenza e trascuratezza che stringe il cuore.
La mattina di tre anni fa accesi il telefonino. Mi avevano cercato. Da Catania. Da Acireale. Sapevo già cosa volevano dirmi. Rimasi ferma per un lunghissimo attimo.
Uno scoraggiante interrogativo serpeggia tra gli addetti ai lavori che seguono con passione il Roma Fiction Fest: perchè il modello produttivo seriale italiano rimane incancrenito nelle sue mediocri sicurezze e non osa sperimentare come si fa ormai da tempo in tutta Europa? Ho ascoltato le risposte più disparate e spesso anche disperate, ho sentito ipotesi, teorie e previsioni disfattiste su un futuro sempre più buio. Mah…, sarà che la mia esperienza sul campo è forse relativa, sarà l’ottimismo radicato nel modello di cultura democratica che dilaga in rete e di cui mi faccio pasionaria sostenitrice, ma proprio non riesco a farmi convincere da nessuna di tali argomentazioni e preferisco affiliarmi alla teoria che sia sempre e comunque colpa di Berlusconi, così, tanto per dire la mia anche io.
Per me Terence Hill rimarrà sempre relegato negli anni ’70 nelle mitiche e luride vesti di Trinità! Proprio non ce la faccio a immaginarlo conciato da bagarozzo che investiga tra le sante vie di Gubbio. Eppure ieri, al Fiction Fest, la sua presenza ha segnato il picco massimo di esultanza del pubblico, accorso ad acclamare il buon vecchio Don Matteo. Questo è stato l’unico momento che, ahimè, (e lo dico con sincero dispiacere) ho dedicato alla fiction italiana.
Domani si aprono le danze sul panorama delle fiction italiane e internazionali. Preventivamente accreditata, mi dividerò per tutta la settimana tra il cinema Adriano e l’Auditorium della Conciliazione alla ricerca di idee, contatti, personaggi, storie e ispirazioni di ogni tipo. Ma soprattutto mi addentrerò nel misterioso mondo del linguaggio visivo contestualizzato sperando di trovare una risposta e successivamente una risoluzione al grande enigma: perchè certe cose in Italia non si possono fare e all’estero sì?
Questa sera ho scoperto un po’ di quella Roma che non conoscevo, la Roma delle torri medioevali.