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Italian Sessions, Femminile Plurale: si parla ancora (troppo) di differenze

Il 17 novembre presso le Officine Grandi Riparazioni a Torino si è tenuto il terzo appuntamento di Italian Sessions dal titolo: Femminile, Plurale – Controcanto sul Futuro.
Partendo dall’interrogativo “Come possono il pensiero e l’agire femminile essere il cuneo del cambiamento di cui la nostra società – e il nostro Paese in primis – ha bisogno?” si è dato il via a un confronto insieme a Luciana Littizzetto, Nicla Vassallo, Francesca Sarti, Chiara Medioli, Lola Toscani, Armando Massarenti, Antonio Mancinelli e Giulia Carasi.
Sono stata invitata a partecipare non per assistere come semplice spettatrice ma per intervenire nel dibattito dei relatori.
Questa interazione in realtà non è avvenuta a causa dei limiti di un format rigido e troppo pieno di ospiti, le cui testimonianze spesso si sono ridotte alla presentazione della propria attività imprenditoriale che non ha aggiunto alcun valore alla discussione.
Luciana Littizzetto, graffiante più che mai, ha dato invece una lettura ironica dei comportamenti femminili in rapporto alla relazione uomo donna e ha detto una grande verità sulla parità: “La parità arriverà quando ci saranno delle donne incapaci nei posti importanti”, perché quando una donna viene chiamata a occupare ruoli di potere è senza ombra di dubbio molto brava e capace. Mentre è comune trovare uomini incapaci a guidare aziende, partiti, istituzioni… “Una Scilipoti donna è difficile che vada a finire dove è finito Scilipoti uomo”.
Le donne infatti devono sempre essere un po’ più brave, ma l’importante è muoversi, fare, crederci, stringere i denti e andare avanti a prescindere dal fatto che troppo spesso la strada delle donne possa essere più difficoltosa. Coltivare i desideri deve appartenere alla volontà degli uomini e delle donne nella stessa misura.
Questo il sunto di un discorso vero, profondo che finalmente supera i limiti di certe battaglie femministe e l’approccio superficiale di chi spesso si inerpica in argomentazioni legate alle questioni di genere.
La Littizzetto è stata l’unica che è riuscita a dare una lettura intelligente e arguta della diversità.
Per il resto si è continuato a parlare di differenze di genere elencando caratteristiche tipicamente femminili e caratteristiche tipicamente maschili.
Io credo che il tipicamente maschile o femminile sia in gran parte frutto della cultura d’appartenenza e che le presunte predisposizioni dell’uno o dell’altro genere spesso derivino da un’educazione differenziata e da una società che ragiona per differenze piuttosto che per complicità.
Il discorso di Giulia Carcasi, intellettualoide e retorico, ha toccato insensate vette di irragionevolezza affermando che  “le donne hanno più potere politico degli uomini a patto che non rinneghino la maternità”, come se l’espressione massima dell’essere donna si concentrasse solo nella maternità e nella sfera dell’emotività.
Conosco uomini dallo straordinario potenziale emotivo e sono stanca di vedere i sacrosanti diritti delle donne dipinti in immagini di presunte superiorità a cui apparterrebbero confidenza, commozione, intimità, nutrimento e accudimento.
Noi donne possiamo essere questo e altro, con o senza figli, con o senza mariti, con la fermezza nel voler continuare a percorrere la nostra strada di conquista di diritti non in quanto donne, ma in quanto persone ormai libere dagli stereotipi.
Certe differenze tra i generi sono un dato di fatto e allo stesso tempo anche un talento. Non ci rimane che valorizzarli e dare il via alla collaborazione per essere donne migliori, uomini migliori e una società migliore.

La “straordinarietà” delle donne al governo

Anna Maria CancellieriPaola Severino ed Elsa Fornero sono i nomi che stavamo aspettando di sentire.
Ancora una volta la partecipazione femminile ai grandi eventi che coinvolgono il paese viene vissuta come un fattore di straordinarietà tanto che il Presidente del Consiglio Mario Monti ha sentito la necessità di sottolineare che “sono affidati a personalità femminili ministeri di grande rilievo”.
Non fraintendetemi, ne sono felice, anche se non conosco queste donne, tuttavia un leggero brivido di fastidio l’ho provato quando ho sentito queste parole. Una sensazione contrastante si è impadronita di me: la speranza che finalmente qualcosa stia cambiando e il fastidio nel pensare che siamo di fronte a una strada ancora lunga. In un attimo ho come preso ancora di più coscienza di quanto lavoro ci sia da fare.
Sono di fatto contraria alle quote rosa come concetto, ma è giusto e doveroso che ci siano.
Monti ha fatto bene a sottolineare la presenza di donne in ruoli chiave, ma questa segnalazione aveva il sapore di una concessione piuttosto che di un diritto. E non certo per colpa del Premier, ma per colpa di un sistema che mi auguro queste donne possano riuscire a incrinare attraverso un lavoro che non abbia come peculiarità la femminilità, ma piuttosto l’onesta, la serietà e la competenza.
Non mi resta che augurare un in bocca al lupo a tutto il nuovo governo.

Ho ucciso Shahrazād

Joumana Haddad è una donna araba che vive a Beirut dove è nata e crescuita.  Joumana ha un rapporto di amore e odio verso una città che non accetta e che non la accetta, ma Joumana, pur viaggiando tanto, ha deciso di rimanere e di sradicare gli stereotipi del mondo arabo (non troppo lontani da quelli occidentali) attraverso la concretezza delle sue parole che le hanno provocato non pochi problemi di censura.
Joumana ha deciso di chiamare le cose con il proprio nome, senza girarci intorno e rivendica con orgoglio la sua libertà di parlare del corpo con le sue problematiche, i suoi tabù e tutti i significati di cui si fanno sovrani i censori della cultura.
La sua rivista si chiama Jasad che vuol dire Corpo.
Johanna non è Shahrazād , Johanna ripudia Sharazad come modello di ribellione, di astuzia e di rivendicazione. Sharazad ha usato l’inganno per evitare di essere uccisa. Sharazad ha negoziato il suo diritto di vivere.
Sharazad non può essere fonte di ispirazione come invece lo è Lilith, la donna che venne prima di Eva, Lilith, la ribelle che non accettò di giacere con Adamo standogli sotto, colei che nessuno può prendere e che invece prende.
Lilith non ha aggirato la realtà, Lilith ha scelto la sua strada e l’ha percorsa contro tutti e contro tutto. Lilith ha scelto di essere pubblicamente diversa e lo ha fatto con fierezza.
Essere come Lilith vuol dire sifdare le censure e i tabù religiosi, politici, sociali, culturali.
Lilith è un modello universale per chiunque abbia il coraggio di raccontare se stessi.
In Ho ucciso Shahrazād Joumana scopre il proprio corpo e racconta la sua femminilità in tutte le sue sfumature, i suoi desideri, le sue aspirazioni, la sua rabbia e la sua voglia di essere donna emancipata e stakanovista, ma che non ha perso il suo desiderio di essere bella, curata, elegante perchè nessuna di noi ha bisogno di assomigliare a un uomo per sentirisi una donna forte.
Io come donna ho bisogno dell’uomo. Non c’è alcun dubbio. E amo questa necessità e l’accetto e la nutro e ne sono orgogliosa. Io, come donna, sono consapevole che anche l’uomo ha bisogno di me. E amo questa necessità e l’accetto e la nutro e allo stesso modo ne sono orgogliosa. Ma c’è un abisso tra aver bisogno dell’altro ed esserne dipendente[…] …le due identità camminano insieme, tenendosi per mano, con complicità e uguaglianza, sfidandosi, motivandosi e sostenendosi a vicenda, pur restando incredibilmente differenti.”  (Joumana Haddad, Ho ucciso Sharazad, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, pag. 85)

Le donne che fecero l’Italia unita

Oggi il mio pensiero va alle donne che hanno cucito le camicie rosse, alle infermiere che hanno accudito e curato i patrioti feriti, alle combattenti che, travestitesi da uomo, hanno imbracciato le armi sacrificandosi sulle barricate, alle aristocratiche e ai loro salotti in cui è nato e cresciuto l’ideale dell’Unità d’Italia.

Colomba Antonietti, uccisa mentre difendeva la Repubblica Romana, Luisa Battistotti Sassi che cacciò gli austriaci durante le Cinque giornate di Milano, Emma Ferretti e Antonietta De Pace che sfilarono a Napoli a fianco di Garibaldi, Adelaide Cairoli che finanziò giornali patriottici, Colomba Antonietti che affrontò di persona le truppe borboniche, l’ospedale da campo di Carolina Santi Bevilacqua, Teresa Perissinotti Manin che a Venezia coordinò l’equipaggiamento dei volontari che si opposero agli austriaci, Maria Gambarana Frecavalli che tra i suoi capelli nascondeva i messaggi tra i congiurati delle diverse regioni, Bianca Milesi pittrice e femminista che disegnò l’emblema tricolore del battaglione Minerva e inventò un sistema di comunicazione crittografato, Colomba Antonietta Porzi che, in prima linea, perse la vita sotto il fuoco dell’artiglieria francese, Giuditta Tavani Arquati che trasformò la sua casa di Trastevere nella dimora dei patrioti, la garibaldina Tonina Marinelli che sbarcò in Sicilia coi Mille, i salotti di Costanza D’Azeglio e quelli di Clara Maffei che raccoglieva fondi per finanziare armi e munizioni per le Cinque giornate, Olimpia Rossi Savio, la madre dei salotti risorgimentali torinesi, Giuditta Bellerio Sidoli che cucì con le sue mani, rischiando la pena di morte, il tricolore che sbandierava marciando durante i moti di Modena del 1831 e infine Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva, Anita Garibaldi, che dedicò la sua vita alla libertà e all’indipendenza dei popoli. E a tutte quelle che non troveremo mai in alcun documento, ma il cui valore è nei piccoli e grandi progressi del nostro Paese. Continua a leggere

Il tempo delle donne è adesso

Sono passati 10 giorni, ma queste parole continuano a risuonare nella mia testa:

Noi donne abbiamo fatto la nostra parte, le istituzioni no! Rispetto, dignità, lavoro, libertà ci sono dovute, ADESSO!

Con queste parole Cristina Comencini ha concluso il suo intervento alla mobilitazione di massa Se non ora quando del 13 febbraio a piazza del Popolo.
Un discorso sincero, privo di retorica, arrabbiato ma sapientemente misurato, che, superando le lotte di partito, punta l’attenzione su un problema reale e obiettivo: la percezione della donna nella cultura italiana e le sue conseguenze a livello sociale, politico ed economico che minano il processo di innovazione nel quale il nostro Paese non riesce ancora ad avere un ruolo predominante.

Un esempio perfettamente calzante, citato dalla stessa Comencini, è l’operato di Angela Merkel, la quale, all’inizio del suo mandato, ha triplicato, con non poche difficoltà, i posti negli asili nido. Oggi la Germania vanta una crescita produttiva tre volte superiore alla nostra. Questa è la dimostrazione che un’azione politica efficiente e innovativa nasce da una valutazione attenta delle condizioni sociali e culturali di un paese.

Le ultime vicende politiche italiane non hanno fatto che rendere esplicito un modello culturale perfettamente radicato nella nostra società e che da troppi anni condiziona le scelte quotidiane di ciascuna di noi. Continua a leggere

Finalmente la Befana!

Sfido chiunque ad aver avuto una reazione del genere nello scartare i propri regali di Natale!

Finalmente anche questo Natale è passato e domani l‘Epifania tutte le feste si porterà via, insieme a luci e insegne colorate che rientreranno negli scatoloni fino al prossimo anno.
Amo il Natale perché aiuta le persone lontane a ritrovarsi e sono anche un’occasione per staccare dalla frenetica quotidianità.
Ma l’agguato è dietro l’angolo! Il povero meritato relax violentato dallo stress del “e mo che gli regalo?“.
Meno male che ci sono i bambini che, con il loro entusiasmo e la contagiosa trepidante attesa di Babbo Natale, ci regalano sorrisi e momenti spensierati e sbarazzini che lasciano indietro pensieri e reoccupazioni.

Oggi mi sento così, un po’ nonna, un po’ Befana, e tra grattugie, bistecchiere, tritaverdure, spazzolini elettrici, marmellate e sveglie digitali, tutti regali più o meno graditi, qualcuno anche utile, penso già al prossimo Natale, e ai lunghissimi 12 mesi che ci separano, tutti rigorosamente all’insegna della leggerezza.

La doggy bag e le microrivoluzioni che cambiano il mondo

In Italia la doggy bag non è in linea con le regole del bon ton.
Chi chiede al ristorante di poter portare a casa gli avanzi della propria cena viene considerato non solo cafone, ma pure morto di fame (e anche se lo fosse tale diritto sarebbe ancor più giustificato!).
Io credo che la doggy bag sia un gesto di civiltà, educazione e amore per la nostra Terra che tutti i giorni oltraggiamo attraverso comportamenti aggressivi e irrispettosi.

Portarsi a casa gli avanzi di una cena al ristorante vuol dire riutilizzare queste risorse per un altro pasto e sbizzarrirsi inventando ricette nuove riciclando pasta, pizza, spezzatini di carne e tutto ciò che non si è riusciti a mangiare la sera prima. Esattamente come avremmo fatto se avessimo cenato a casa.
Senza sperpero di denaro e alla faccia del vero comportamento scandaloso: l’incuranza nei confronti dello spreco alimentare che nel mondo industrializzato raggiunge il 30% del cibo acquistato.

A prescindere dalla crisi economica che ci sta strozzando negli ultimi anni, dedicare un po’ di tempo all’amorevole arte del risparmio significa amare di più non solo la nostra Terra che ci ospita, ma anche noi stessi, le nostre famiglie e le generazioni future.
Chiudere il rubinetto mentre ci si strofina i denti, riutilizzare l’acqua del bucato come sciacquone del water, scrivere su entrambi i lati di un foglio di carta, comprare prodotti alimentari di stagione, convertirsi alla spesa alla spina (sarà il mio prossimo obiettivo)… sono queste le microrivoluzioni che possono realmente cambiare il mondo.

Contagiamoci!

Al voto, al voto!

pericleNon voglio entrare nel merito della legalità o no del decreto salvaliste, ma sento l’urgenza di urlare la mia indignazione verso l’indignazione scomposta manifestata dal Popolo Viola sabato in Piazza del Pantheon e domenica in Piazza Navona a Roma.
Chiacchiere, bandiere di partito, come se la legalità appartenesse solo a una classe politica e poi tanta, troppa retorica che culmina con la lettura del Discorso di Pericle agli Ateniesi di Tucidide! Ma sfortunatamente non siamo nel 461 a.C e i valori a cui ci dobbiamo appellare costituiscono un baluardo dal quale partire per evolvere verso una strategia d’azione illuminata e riformista.
Questo confronto impari va avanti da troppi anni, e loro, quelli che affermano, sbraitando da palchi improvvisati, di condividere i miei stessi valori di democrazia, laicità e legalità, non procedono mai.
Stremati da un allenamento eterno, si crogiolano e si autocelebrano nell’eloquenza accademica e altisonante.
Non ne posso più di questi intellettualismi al caviale!!!

Ormai non ci resta che l’ultimo appiglio al diritto di partecipazione: il voto! E contro il disfattismo (seppur comprensibile) di coloro che ritengono che il voto non abbia alcun valore perche’ nessun valore hanno le persone da votare, sono convinta che esercitare tale diritto diventa sempre più indispensabile!
Mi ricorda il mio amico Andrea le parole universali di Martin Luther King: “La non collaborazione al male è un obbligo come lo è la collaborazione al bene.”
“Chi accetta il male passivamente è responsabile quanto chi lo commette.”

E sempre Andrea sottolinea l’urgenza di scegliere, scegliere, anche il meno peggio, ma scegliere!
Schierarsi, smuovere, fare qualcosa! Il “tutti fanno schifo” e il “tanto il voto mio che cambia?”, in questa situazione altamente compromessa di democrazia, equivalgono al dare via libera ad una china ancor più dolorosa.

Siamo passati dallo Stato di Diritto allo Stato contro il diritto, ha esordito Emma Bonino dalla Piazza del Pantheon, abbiamo dissipato la stima dell’Europa e molti italiani  hanno perso la fiducia in un paese migliore, lasciandosi andare a inettitudine e apatia politica .

Ma l’Italia non si riconosce più nella politica delle astuzie e dei raggiri e ha fame di legalità e giustizia.
Per favore, andiamo tutti al votare!

Rifornimento amaro

rifornimentoC’è traffico, sei in giro da ore, gli automobilisti sono più arroganti che mai e tra bollette, assicurazioni da pagare e revisioni allo scooter sono partite troppe troppe centinaia di euro. Ci sono tutti gli elementi per poter affermare a chiare lettere: mi rode il culo!
Ti fermi, il serbatoio è vuoto, e quando il benzinaio sessantenne ti guarda negli occhi e ti sorride dicendoti: beh, come andiamo signori’…e ti attacca un pippone iperbolico sulla vita, l’amore, il lavoro e i massimi sistemi esistenziali… beh, allora pensi che è proprio bello vivere a Roma, parlare con la gente, scambiarsi luoghi comuni, ipotesi meteorologiche e diagnosi improbabili sull’umanità. Non credi neanche per un secondo alle parole che fuoriescono dalla tua bocca, ma ti delizia il puro piacere di offrire solidarietà a chi desidera semplicemente scambiare due parole. Le stesse vuote parole che però fanno compagnia anche a te in una giornata un po’ storta.
Sì, è proprio bella questa atmosfera che solo in Italia, solo a Roma riesci a vivere.
Ma poi il benzinaio rivolge uno sguardo al palazzo della Regione e conclude la sua teoria sul lavoro un po’ schifato: sai, quante bottiglie di champagne, quanti cestini de Natale c’ho lasciato là dentro? Una piccola pausa di riflessione. Poi sorride soddisfatto. Però adesso mia figlia lavora alle Poste! Damme retta signorì, co’ sta gente te devi mette’ se vuoi trova’ lavoro!
E così, schifata, sono risalita in sella al mio motorino e sono andata via. E non ero più così contenta di abitare in questo Paese…