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Ho ucciso Shahrazād

Joumana Haddad è una donna araba che vive a Beirut dove è nata e crescuita.  Joumana ha un rapporto di amore e odio verso una città che non accetta e che non la accetta, ma Joumana, pur viaggiando tanto, ha deciso di rimanere e di sradicare gli stereotipi del mondo arabo (non troppo lontani da quelli occidentali) attraverso la concretezza delle sue parole che le hanno provocato non pochi problemi di censura.
Joumana ha deciso di chiamare le cose con il proprio nome, senza girarci intorno e rivendica con orgoglio la sua libertà di parlare del corpo con le sue problematiche, i suoi tabù e tutti i significati di cui si fanno sovrani i censori della cultura.
La sua rivista si chiama Jasad che vuol dire Corpo.
Johanna non è Shahrazād , Johanna ripudia Sharazad come modello di ribellione, di astuzia e di rivendicazione. Sharazad ha usato l’inganno per evitare di essere uccisa. Sharazad ha negoziato il suo diritto di vivere.
Sharazad non può essere fonte di ispirazione come invece lo è Lilith, la donna che venne prima di Eva, Lilith, la ribelle che non accettò di giacere con Adamo standogli sotto, colei che nessuno può prendere e che invece prende.
Lilith non ha aggirato la realtà, Lilith ha scelto la sua strada e l’ha percorsa contro tutti e contro tutto. Lilith ha scelto di essere pubblicamente diversa e lo ha fatto con fierezza.
Essere come Lilith vuol dire sifdare le censure e i tabù religiosi, politici, sociali, culturali.
Lilith è un modello universale per chiunque abbia il coraggio di raccontare se stessi.
In Ho ucciso Shahrazād Joumana scopre il proprio corpo e racconta la sua femminilità in tutte le sue sfumature, i suoi desideri, le sue aspirazioni, la sua rabbia e la sua voglia di essere donna emancipata e stakanovista, ma che non ha perso il suo desiderio di essere bella, curata, elegante perchè nessuna di noi ha bisogno di assomigliare a un uomo per sentirisi una donna forte.
Io come donna ho bisogno dell’uomo. Non c’è alcun dubbio. E amo questa necessità e l’accetto e la nutro e ne sono orgogliosa. Io, come donna, sono consapevole che anche l’uomo ha bisogno di me. E amo questa necessità e l’accetto e la nutro e allo stesso modo ne sono orgogliosa. Ma c’è un abisso tra aver bisogno dell’altro ed esserne dipendente[…] …le due identità camminano insieme, tenendosi per mano, con complicità e uguaglianza, sfidandosi, motivandosi e sostenendosi a vicenda, pur restando incredibilmente differenti.”  (Joumana Haddad, Ho ucciso Sharazad, Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, pag. 85)

Un Karma Pesante

Eugenia Viola non insegue alcun sogno, se non quello, inconsapevole, di trovare se stessa.
E si cerca prima nel miraggio londinese, poi in una Milano patinata e in una New York individualista.
Sembra non soffrire mai veramente e con naturalezza indossa jeans o tailleur all’occorrenza.
Al suo ritorno il proprio mondo interiore diventa un’ombra dietro la frenesia del lavoro più bello del mondo.

Un giorno si trova costretta a fermarsi e tutto le sembra diverso. Ma tutto è come prima.
Il suo sguardo, invece, comincia a percepire una bellezza fino ad allora sconosciuta.

E’ la  vita  a condurre il gioco ed Eugenia è protagonista di un film scritto dalle persone che sfiorano la sua vita.
Ma in fondo le persone che accogliamo, le scegliamo perché  hanno un po’ di ciò che vorremmo essere e un po’ di ciò che disprezziamo. E in questa catarsi viviamo l’illusione di essere persone migliori.

Eugenia non fugge, lei semplicemente va dove la porta l’istinto, senza un piano, senza una meta e ogni luogo diventa il suo luogo, e quando la sintonia svanisce, va da un’altra parte, guidata da un destino che non le fa promesse.
Eugenia sembra quasi sterile, come tutta la sua narrazione. Una storia che ha un inizio qualunque e un finale improvvisato. Restituisce un personaggio poco attraente, quasi noioso con il quale è difficile instaurare una qualunque tipo di relazione. Come se un muro di parole non scritte impedisse uno scambio di emozioni ancor più necessario quando si racconta una storia che non ha trama e che dovrebbe svolgersi attraverso l’energia dei personaggi e dei loro legami col mondo.

Si legge tutto d’un fiato Karma Pesante, perché speri fino alla fine che arrivi non un finale d’effetto, ma quanto meno una rivelazione non così banale.

La storia scivola via con facilità, attraverso due piani narrativi che si avvicinano e si allontanano con grazia, merito anche della scrittura semplice e lineare, che però si porta dietro il carico di quel contagioso karma pesante di cui nessun lettore ha bisogno.

Forse, avendo superato da tempo la masochistica età dell’inquietudine, l’intimità di Eugenia, non trova corrispondenze nella mia e mi lascia semplicemente la delusione per una storia troppo comune ai limiti dell’indifferenza.