Archivi categoria: Film

Lars e una ragazza tutta sua

larseunaragazzatuttasua.jpgLars è timido, schivo, ha paura della gente. Lars evita tutti, anche chi gli vuole bene, come suo fratello e sua congnata. Lars, ha un lavoro, ma non comunica con nessuno. Lars si autoesclude e vive solo in un garage. Lars è amato dalla sua comunità, ma Lars ha anche tanta voglia di amare. E così questo amore lo cerca e gli dà vita attraverso le forme di Bianca. Ma Bianca è una bambola, una realdoll, di quelle al silicone, di quelle con cui gli uomini sessualmente frustrati possono farci tutto ciò che vogliono, tanto queste bambole non parlano. Ma Bianca è diversa e comunica molto più di quanto avrebbe mai potuto fare anche la migliore delle donne.
“Lars e una ragazza tutta sua” è la storia di un disagio mentale che ha origine nell’infanzia di Lars, ma questo infondo non importa. Importante è l’amore della comunità che aiuta Lars nel suo cammino interiore. Ed ecco che la realtà alterata di Lars diventa la realtà di tutti e Bianca è amata e richiesta da tutti, tanto che dovrà persino crearsi un’agenda per organizzare tutte le attività che la piccola comunità di un piccolo paesino del Wisconsin le offre.
Tra piccole gag, episodi divertenti e un filo conduttore dolce, amaro e delicato, la storia scorre piacevolmente con la giusta leggerezza nei dialoghi e con quei piccoli ma significativi gesti dei personaggi che evocano perfettamente ogni sfumatura della loro emotività.
La sceneggiatura, forse in alcuni momenti poco fluida, gode di una grande virtù, quella di non avere insistito sull’analisi del disagio, evitando psicologismi e presunte teorie sui disordini mentali, tuttavia, restituisce un godibile approccio intimista a una storia difficlie e forse al limite del surreale. Ma poco importa se si esce dal cinema con la speranza che tutto questo possa essere realmente accaduto.

Caramel

caramel.jpgZucchero, limone e acqua. Portate il tutto in ebollizione e mescolate finchè il composto non raggiunge la colorazione bruna tipica del caramello. Dolcissimo, ma assaporate con attenzione, brucia!
Così come bruciano le passioni delle donne di Beirut in questo film dalle tinte calde e accoglienti. Nella prima mezz’ora sembra non accada nulla, ma in realtà senza accorgertene ti ritrovi seduta nel salone di bellezza in attesa di una stravagante messa in piega fatta ad arte dalle sapienti mani di Nadine Labaki, che però sul più bello ti abbandonerà davanti allo specchio per inseguire il sogno che si è appena annunciato col clacson di un’auto. Ma ci saranno le sue amiche e colleghe a consolarti e porteranno a termine il lavoro incompiuto. E ti accorgerai che quella sedia è comoda e accogliente e ti lascerai cullare dalle musiche di Mouzanar mentre Nisrine, Rima, Jamale e Rose ti confideranno i loro segreti e i loro tabù. Non importa che siano essi cattolici o musulmani, sono pur sempre le frustrazioni di una sensualità repressa, ma inevitabilmente dirompente. E le femmine danzano con i loro sentimenti forti e appassionanti e lottano con i limiti imposti dalla cultura di un paese affaticato che a stento tenta di raggiungere la modernità. Ma sarà una lotta persa quella con i limiti che alcune impongono a se stesse, come la rinuncia all’amore e il patologico attaccamento alla gioventù che fugge. Tra lacrime e sorrisi, senza mai arrendersi le donne libanesi non urlano i loro diritti, ma difendono coi denti ciò che hanno conquistato e trovano soluzioni ai problemi quotidiani forti di un’arma imbattibile: la complicità delle donne.

Leoni per Agnelli

leoniperagnelli.jpgQuest’anno è stato davvero difficile trovare il film di Natale adatto a me e ai miei genitori e così, dietro suggerimento di mio padre (a.k.a. Il Nonno) siamo andati a vedere Leoni per Agnelli…che però è piaciuto solo a me e a mia madre.
Non è un capolavoro, nè tanto meno un forte film di denuncia, e non racconta di più di quanto già non si sappia, ma mostra, attraverso uno sguardo discreto e moderato, quanto la guerra in Afghanistan (e con essa tutte le guerre) riguardi profondamente le vite dei singoli e la successiva costruzione di una coscienza critica comune. Davanti a un’America e forse anche un’Europa ormai assefuatte dalla visione della violenza bellica, le parole del Professor Malley al suo giovane allievo sono un tentativo maieutico di risvegliare il senso di partecipazione (qualunque forma esso possa assumere) alla causa comune, alla costruzione di un destino personale che coinvolge comunque la collettività. “Libertà è partecipazione”, no?
Nell’altro piano narrativo del film, nella stanza del potere, parole, foto e simboli raccontano la storia di una precisa strategia che ha portato solo al fallimento e viene sbandierata la nascita di un’ ulteriore teoria bellica che però rivelerà nel finale del film (ma già la Storia parla da sé) la disillusione della vittoria. Nel dialogo, magistralmente scritto, tra un senatore assetato di vittoria a qualunque costo e una giornalista sdegnata e confusa, si delinea il cinico e perverso delirio di onnipotenza del potere americano che manda al massacro, manovrandoli come esche strategiche, i giovani soldati costretti, paradossalmente, ad arruolarsi per sopravvivere.
Anche la morte è una delle conseguenze possibili della presa di posizione nei confronti della guerra e lo si vede, seppur in maniera un po’ retorica, anche nel finale del film, che lascia comunque un senso di sgomento e smarrimento che, a mio avviso, lentamente si insinua nello spettatore fino a concretizzarsi in un’opinione precisa e delieata…qualunque essa sia.

Irina Palm

irina-palm.jpgBerlino questa estate era tappezzata dalle locandine del film Irina Palm.
La trasgressiva Marianne Faithfull trasformata in una vecchia sciura che scruta attraverso un buco, aveva già allora attratto la mia attenzione e suscitato una curiosità tale che sono andata a vederlo senza avere la più pallida idea della storia che mi avrebbero raccontato.
Attenzione! In questa recensione ci sono dei vaghi SPOILER che a mio avvisano non turbano la godibilità del film, ma fate un po’ voi.
Le prime immagini di una Londra natalizia grigia e spenta accompagnate dalla musica tiste e cadenzante mi aveva dapprima maldisposto. Per non parlare della storia del bimbo morente e della nonna disposta a tutto pur di concedere al suo unico nipote un’ultima speranza di vita. Ma quella camminata fanciullesca e quello sguardo incantato presagivano una svolta…che è arrivata subito nel meraviglioso dialogo tra la protagonista e il suo futuro datore di lavoro che, con leggera schiettezza, le rivela cosa si cela dietro la parola hostess. E da quel momento si apre lo squallido e scabroso mondo dei club per soli uomini e comincia la fiaba che mescola con grazia momenti divertenti, mai banali, a scene drammatiche che raccontano una realtà vera e triste. Il regista non ha bisogno di impietosirci mostrandoci dettagli superflui (per esempio la malattia del nipote o il rapporto madre-figlio-nuora) ma commuove la forza e la genuina determinazione di questa donna che si sente colpevole semmai non del lavoro che fa, ma dell’essere stata la causa del licenziamento della sua amica/collega.
Affronta la nuova realtà a lei estranea facendola sua, personalizzandola e decorandola a suo piacimento fino a farla diventare una quotidianità come tante altre che, a differenza delle altre, però, le consente di ottenere il suo scopo. Senza i melliflui drammi da “nonna coraggio” riesce a ritagliarsi anche uno spazio di vanto per se stessa, fino a farle affermare con fierezza di essere “la migliore mano destra di tutta Londra”.
Forte e dignitosa non si autosantifica davanti al figlio per il suo sacrificio, ma con naturalezza e austerità, e anche il giusto e meritato orgoglio, si prende una bella rivincita morale sul bigottismo provinciale delle sue vicine borghesi e patinate.
La mano del regista è talmente garbata e raffinata che gli concediamo persino le scivolate nel buonismo che ci accompagnano verso un finale che tutto sommato ci appaga e annienta ogni cinismo, anche perchè è bello pensare che possa esistere un amore così improbabile.

LASCIA PERDERE, JOHNNY

lascia-perdere-johnny.jpgVittima del fascino di Fabrizio Bentivoglio, attendevo con trepidazione l’uscita di questo film. Lascia perdere Johnny, racconta la storia di un ragazzo casertano (ottimamente interpretato dal giovane Antimo Merorillo) che suona la chitarra nella banda del paese guidata dal maestro/bidello Domenico Falasco, un ineguagliabile Tony Servillo che la sa lunga sulla scelta dei personaggi da interpretare…
Le ispirazioni del giovane vengono supportate dall’impresario truffaldino Raffaele Niro (Ernesto Mahieux) che tenta di fare il salto di qualità con il famoso maestro Augusto Riverberi (Fabrizio Bentivoglio), pianista milanese, ex amante di Ornella Vanoni. Johnny, così soprannominato dal maestro, si lascia coinvolgere in questo esperimento corale dal quale nasce una vicenda ahimè priva di storia, priva di contenuti narrativi, ma che lascia lo spazio alle immagini fotografate da una luce viva e prepotente che rivela più di mille parole. Un cast perfetto, calibrato mai fuori dalle righe, costruito da personaggi necessari e dalla forte personalità che ben si intrecciano l’un l’altro, ciascuno nel proprio ruolo, intrecciando le trame di una storia senza storia strabordante di sensazioni genuine.
In altre parole, il film non è avvincente, ma ci si lascia dolcemente cullare dalle note malinconiche di un’ inarrestabile colonna sonora che vince su tutto evocando i ricordi (della mia infanzia) di un sud pittoresco e non troppo lontano, facendoci dimenticare che la vicenda raccontata ha ormai perso la sua successione armonica mentre si avvia verso un finale ben scritto, ma messo in scena senza troppa cura.

IL NASCONDIGLIO

ilnascondiglio.jpgAttenzione, questo post non è una recensione, ma uno sfogo ricco di SPOILER!!! Così come i primi minuti del film Il Nascondiglio di Pupi Avati!
E’ merito della mia straordinaria intelligenza o vien da sè che l’arma del delitto è il chiavistello del portone, costantemente dettagliato mentre il ridicolo e inutile agente immobiliare narra il tetro racconto delle tre donne massacrate con un oggetto acuminato mai trovato? Lo stesso chiavistello che infilzerà la “labbrosa” e smagrita Yvonne Sciò interprete di un presunto personaggio “di svolta” che, animata da una incomprensibile e irragionevole motivazione, si inoltra nella casa degli orrori con il bamboccioso figliolo per aiutare la protagonista. Laura Morante è un’ottima attrice e una pessima doppiatrice di se stessa, tale da rendere poco credibile il suo intrepido personaggio che tenta di affrontare le proprie paure inconscie ostinandosi a trovare una soluzione a una storia di violenza avvenuta 40 anni prima nei lugubri corridoi di Snakes Hall. E poi, guarda caso, una delle novizie assassine ha lo stesso nome, Egle, con cui la protagonista da bambina, veniva chiamata in collegio…. ecco che il mistero si infittisce e non sarà una inaspettata coincidenza che unisce il passato al presente della protagonista… e invece si! E’ un caso che non dice niente e che non preclude ad alcuna inquietante backstory!
Tra falsi raccordi e scene prive di contenuto narrativo forzatamente appiccicate a una vicenda senza un intreccio plausibile, non si trovano risposte soddisfacenti a una storia dall’idea originaria piena di potenzialità espressive ma incredibilmente abortita.
E poi, caro Pupi Avati, maestro di un cinema italiano dal budget consistente, come hai potuto non accorgerti dell’evento miracoloso che a metà film ha restituito le dita alla menomata testimone del processo? Imperdonabile!

In questo mondo libero

in-questo-mondo-libero.jpgIn questo mondo liber…ista Angie è un angelo arrabbiato caduto nella spregiudicatezza imprenditoriale. Dopo una vita di lavori precari decide di mettersi in proprio e mette su un’agenzia di lavoro interinale per immigrati insieme alla sua coinquilina Rose, laureata e lavoratrice presso un call center.
Il realismo sociale di Ken Loach ci racconta una storia di sfruttamento nella Londra moderna e multiculturale attraverso lo sguardo disumanizzato della sfruttatrice, Angie.
Angie è una di noi, una trentenne dinamica (e non certo bambocciona!) vittima di uno sfrenato mercato del lavoro nel quale tenta di sgomitare per placare le proprie ambizioni frustrate. Ma anche per guadagnarsi una rispettabilità agli occhi del padre, onesto operaio pensionato, e del figlio, del quale non riesce ad occuparsi e che fa a pugni coi suoi compagni di scuola per tutelare la reputazione della madre.
Angie è un personaggio di cui ti innamori per la sua determinazione e per una sorta di desiderio di giustizia universale per cui pensi che anche lei ha diritto ad avere ciò che tanto desidera ardentemente: la sua agenzia, il riscatto sociale e la possibilità di potersi occupare del suo bambino.
Ma Angie sceglie la via più semplice, quella illegale e soprattutto quella moralmente deprecabile. Sceglie di farsi inghiottire dai meccanismi perversi del mercato del lavoro e diventa carnefice degli altri e di se stessa, mettendo a tacere ogni scrupolo persino quando mette in pericolo la stessa famiglia di immigrati che poco prima aveva ospitato nella sua casa.
E’ allora che non riesci più a provare alcuna compassione per la sua condizione in cui lei stessa ha scelto di sguazzare e dalla quale ormai non può liberarsi.
“In questo mondo libero” era un film necessario, che non vuole trovare delle risposte, ma che, mettendoci in guardia dai mostri generati da questo sistema, suggerisce la possibilità di un’alternativa.

Funeral Party

funeral-party-jpg.jpgFinalmente un film divertente…ma non troppo.
Funeral Party è una commedia spassosa e ironica. Qualcuno, come la mia dolce metà, si è sbellicato, io ho riso di cuore e non ho assolutamente rimpianto i soldi del biglietto (anche perchè ha pagato lui).
Ma sono andata via con l’amaro in bocca, non per il finale circolare e prevedibile, ma per quello che avrebbe potuto essere questo film.
Mi spiego meglio: ridere della morte, dei nani, dei vecchi sboccati e pure paralitici, per quanto infame, è facile. Qui è raccontato con eleganza e per questo piace, ma non mi fa certo urlare al capolavoro di originalità. Scene già viste in tutte le commedie degli equivoci, che in questo caso sono magistralmente interpretate dagli attori, tutti affiatati, tutti diretti secondo il giusto ritmo dei tempi comici, ma che mancano di quel sarcasmo e di quell’irriverenza che avrebbero dato un tocco magico a questa piccola spiritosa messa in scena.
E poi è facile alterare la realtà chimicamente (leggi: finto Valium) per rappresentare fraintendimenti e comici quiproquò. Più difficile è ottenere la stessa comicità dell’equivoco attraverso un’ acuta messa in scena dei difetti e delle maliziose imperfezioni del genere umano. Ma in questo l’unico grande maestro rimane Woody Allen.
Piccole perle i due taglienti, ma pacati scambi di battute tra suocera e nuora che tanto raccontano di quel rapporto conflittuale.
Andatelo a vedere Funeral Party e sappiate che verso la fine l’elogio funebre del figlio vi deluderà, sarà noioso, scontato e banale, ma almeno avrete passato piacevolmente i precedenti 90 minuti.

I Simpson- il film

the-simpson.jpegIl film I Simpson non mi ha fatto impazzire. E’ la solita satira irriverente sull’american way of life (che non è poi così lontana dal nostro stile di vita cinico e individualista) che, spalmata in 87 minuti, mi ha un po’ annoiato. Da ecologista convinta, ho molto apprezzato la scelta del tema che, tuttavia, avrebbe potuto fornire agli sceneggiatori spunti narrativi molto più arguti e pungenti su cui ironizzare. Concentrato in un unico episodio forse avrebbe funzionato di più. Un’occasione mancata che vale comunque la pena di vedere. Una su tutte la scena di Spiderpork!!!

Shrek Terzo

shrek terzoIo a Shrek gli voglio bene, ma questo terzo episodio non mi è piaciuto! E lo dico con la tristezza nel cuore.
Sempre sul filo del politically scorrect, una trama debole e traballante analizza i due drammi esistenziali dell’orco più affascinante del mondo: il suo rifiuto di diventare re e l’ansia della paternità. Inizia così l’avventura alla ricerca del cugino Arthur (un improbabile e poco funzionale alla trama re Artù) che lo sostiutirà al trono dopo una grottesca battaglia corale contro Azzurro, il frustrato principe mascellone che nessuna donzella vorrebbe mai avere al suo fianco. Tutti i cattivi delle fiabe, da Capitan Uncino alle brutte sorellastre di Cenerentola, si alleano contro i nostri eroi, non solo i “valorosi” maschietti, ma anche le gentili e agguerrite principesse. Memorabile la trasformazione della docile Biancaneve che, sulle aspre note dei Led Zeppelin, sfonda il cancello di regno di Far Far Away.
Le cartucce dell’originalità sono state ormai tutte sparate nei primi due episodi, ma, nonostante ciò, ho continuato a ridere (senza sbellicarmi) in diversi momenti del film che raggiunge il suo apice di arguzia retorica nel dialogo tra Azzurro e Pinocchio che tenta di non dire la verità senza mentire.
Ciuchino e il Gatto con gli Stivali sono decisamente al di sotto delle loro capacità comiche, e anche quando sono vittime dell’ incomporensibile incantesimo di un Merlino rincoglionito (inutile tessera di un già vivace e colorato mosaico narrativo) non divertono e ci lasciano in attesa di una delle loro solite gag che non arriva mai.
Senza troppe aspettative, ho comunque trascorso un’ora e mezzo piacevole e spensierata. Andatelo a vedere. Shrek fa sempre bene all’umore!