Irina Palm

irina-palm.jpgBerlino questa estate era tappezzata dalle locandine del film Irina Palm.
La trasgressiva Marianne Faithfull trasformata in una vecchia sciura che scruta attraverso un buco, aveva già allora attratto la mia attenzione e suscitato una curiosità tale che sono andata a vederlo senza avere la più pallida idea della storia che mi avrebbero raccontato.
Attenzione! In questa recensione ci sono dei vaghi SPOILER che a mio avvisano non turbano la godibilità del film, ma fate un po’ voi.
Le prime immagini di una Londra natalizia grigia e spenta accompagnate dalla musica tiste e cadenzante mi aveva dapprima maldisposto. Per non parlare della storia del bimbo morente e della nonna disposta a tutto pur di concedere al suo unico nipote un’ultima speranza di vita. Ma quella camminata fanciullesca e quello sguardo incantato presagivano una svolta…che è arrivata subito nel meraviglioso dialogo tra la protagonista e il suo futuro datore di lavoro che, con leggera schiettezza, le rivela cosa si cela dietro la parola hostess. E da quel momento si apre lo squallido e scabroso mondo dei club per soli uomini e comincia la fiaba che mescola con grazia momenti divertenti, mai banali, a scene drammatiche che raccontano una realtà vera e triste. Il regista non ha bisogno di impietosirci mostrandoci dettagli superflui (per esempio la malattia del nipote o il rapporto madre-figlio-nuora) ma commuove la forza e la genuina determinazione di questa donna che si sente colpevole semmai non del lavoro che fa, ma dell’essere stata la causa del licenziamento della sua amica/collega.
Affronta la nuova realtà a lei estranea facendola sua, personalizzandola e decorandola a suo piacimento fino a farla diventare una quotidianità come tante altre che, a differenza delle altre, però, le consente di ottenere il suo scopo. Senza i melliflui drammi da “nonna coraggio” riesce a ritagliarsi anche uno spazio di vanto per se stessa, fino a farle affermare con fierezza di essere “la migliore mano destra di tutta Londra”.
Forte e dignitosa non si autosantifica davanti al figlio per il suo sacrificio, ma con naturalezza e austerità, e anche il giusto e meritato orgoglio, si prende una bella rivincita morale sul bigottismo provinciale delle sue vicine borghesi e patinate.
La mano del regista è talmente garbata e raffinata che gli concediamo persino le scivolate nel buonismo che ci accompagnano verso un finale che tutto sommato ci appaga e annienta ogni cinismo, anche perchè è bello pensare che possa esistere un amore così improbabile.

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