Looking for the Craic

wonderleprechaunCRAIC è una parola di origine gaelica che non ha un corrispettivo in inglese perchè è un modo di essere tipicamente irlandese. Può essere tradotto con having a good time or a laugh
A good craic is always social
, perchè il craic si sprigiona solo in compagnia, tra chiacchere, scherzi e pinte di birra.
Ma c’è solo un modo per scoprire l’essenza del Craic: come over to Ireland and have some craic yourself!

Sono passati 10 anni dalla prima volta che incontrai Dublino.
Allora era estate e il verde caldo brillava tra le strade della città e tra i vialetti di St Stephen’s Green. In questi giorni, invece, ci ha accompagnato un freddo mansueto e il sole ci ha scortato impedendo alla pioggia di importunare i 4 giorni di vacanza con le mie amichette del cuore.

O’ Connel Street, Dawson Street, Grafton Street, passerelle festose dello shopping natalizio, scintillavano tra luminarie, colori, abbondanze e sorrisi della gente. Perchè, sarà forse un luogo comune sugli irlandesi o forse è proprio quel craic che ribolle nel sangue, ma io di musi lunghi qui ne ho visti ben pochi!
Con questo non voglio certo affermare che tutti gli Irlandesi siano persone allegre e felici e che vivano la propria vita in uno stato di beata inconsapevolezza, ma camminando per la città si percepisce una generale sensazione di pacato buonumore diurno.
Già, perchè poi la notte avviene la trasformazione che spesse volte prende anche forme eccessive di ebbrezza distruttiva, altre volte invece rimane un’estrema convivialità e socievolezza che sbevazza allegramente danzando, dispensando baci e abbracci in un tripudio festoso collettivo.

La gente di Dublino si riversa nei pub già dal tardo pomeriggio, gli uomini ancora in giacca e cravatta, i ragazzi in maniche corte sfidano il freddo, le giovane fanciulle abbandonano le divise da collegiali per arrampicarsi su tacchi vertiginosi esibendo lunghe e spesso possenti cosce, le più ardite anche prive di collant!!!
Siamo a Temple Bar tra Dame Street e il fiume Liffey. Da un vicolo si scorge lo spettacolo di luci e ombre delle tre lampade che illuminano l’ Ha’ Penny Bridge, mentre dai pub fuoriescono le intramontabili note dei classici da Knockin’ on Heaven’s Door a No Woman No Cry passando per Wild Rover…

10 anni fa parlavamo con chiunque e tutti erano interessati a sentire i nostri racconti e a bere con noi. Si parlava dell’Italia, del giro che avremmo fatto per l’Irlanda, di cosa studiavamo e di ciò che ci piaceva fare e ascoltavamo consigli e suggerimenti, si beveva insieme, ci offrivano molte birre…del resto, eravamo due belle fanciulle…
Oggi non è stato così.
Abbiamo incontrato tanta gente, parlato con pochi, se non per chiedere informazioni alle quali ci hanno risposto sempre con gentilezza e disponibilità, ma poche chiacchiere e nessuna convivialità come i vecchi tempi.
Cinguettavo qua e là da un ramo all’altro, nel tentativo si sfoggiare (o meglio di rispolverare) il mio inglese, memore dei tempi che furono, anche per la mia spasmodica esigenza di parlare con la gente. Il risultato è stato molto modesto rispetto alle aspettative.
Qualcosa è cambiato. A questo punto potrebbero aprirsi molte riflessioni di natura sociale sull’argomento, ma preferisco pensare che forse è l’inverno che infreddolisce le relazioni umane.

Perciò mi sono consolata con la cultura visitando la bellissima e inquietante mostra  WHAT IF presso la Science Gallery.
Ispirati dai grandi interrogativi sull’esistenza umana, designer e artisti di tutto il mondo hanno dato vita a provocatorie forme d’arte, spesso ai confini del gusto e dell’etica, rimettendo in discussione, nel bene e nel male, valori quali la genuinità, la spontaneità e la naturalezza, delle volte in nome del progresso, altre volte per puro compiacimento estetico/intellettuale. “Cosa succederebbe se i nostri pensieri fossero di pubblico domino o se potessimo usare l’olfatto per scegliere il partner perfetto o se si potessero coltivare i farmaci sul nostro stesso corpo o ancora se ci fossero delle macchine in grado di leggere le nostre emozioni e se la carne fosse prodotta in laboratorio?”  WHAT IF  è una visione del mondo, è  il piacere di immaginare le possibili e infinite direzioni in cui un’idea, un pensiero, una storia può andare.

E il nostro viaggio è andato verso Clontarf, quartiere a nord di Dublino che ha visto nascere Bram Stocker. La passeggiata lungo il Bull Wall ci ha regalato uno scenario meditativo e amabilmente malinconico soprattutto perché incorniciato da un cielo paffuto di nuvole bianche che scoprivano, di tanto in tanto, corposi e accecanti raggi di sole che scaldavano il cammino.  Sull’immensa distesa della spiaggia di Bull Island i bambini manovravano grossi aquiloni che volteggiavano in aria insieme ai gabbiani. Sullo sfondo si intravedeva l’intensa attività del porto di Dublino.

“Oh my Cod!” recitava un cartellone pubblicitario su una fermata del bus, è ora di pranzo! Fish and chips…tanto per cambiare!

La cucina non è certo uno dei punti forti della cultura irlandese, anche se ho apprezzato molto l’Irish Stew, soprattutto quello assaggiato ad Avoca da Fitzgerald’s locale ben noto ai telespettatori irlandesi perchè location della serie tv Ballykissangel, storia di un giovane prete cattolico di Manchester che viene trasferito in una piccola comunità irlandese.
Avoca si trova nella contea di Wicklow e ci si arriva comodamente tramite un day tour in bus che ci ha condotto verso
la valle dei due laghi, Glendalough, attraverso paesaggi boschivi dai profili scoscesi, sentieri che si inerpicano lungo anfratti mistici e scenari dai forti contrasti cromatici che solo la luce del nord riesce a restituire.
Questo paesaggio ascetico ispirò l’anima anelante di St. Kevin a porre la prima pietra del suo centro monastico e avrebbe ispirato anche noi verso profonde riflessioni sui massimi sistemi se l’eccessivo e scoppiettante craic dell’autista non ci avesse stonato per tutto il viaggio con
le canzoncine natalizie e il suo umorismo spicciolo da animatore turistico.

Voglio ritornarci ancora in Irlanda e forse mai capirò da dove nasce questa misteriosa entità che scorre nel sangue degli Irlandesi e che continua a renderli un popolo allegro, esuberante, brillante e vitale. Riscoprirlo ha reso questa vacanza bellissima e ancor di più perchè ero con persone speciali insieme alle quali finally I had some craic myself!

P.S. Abbiamo dormito nel Charles Stewart B&B. Ve lo consiglio, economico, pulito e centralissimo.

E per una pausa caffè che assomigli a un espresso italiano, fate una sosta da Butlers dove vi aspetta un tripudio di cioccolata di ogni sorta.


2 pensieri su “Looking for the Craic

  1. wonderpaolastra Autore articolo

    @Stefigno
    Speriamo che anche tu possa farne tesoro di queste segnalazioni! ;)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *